AÑO 18 Nº 31. ENERO - DICIEMBRE 2023
Dep. Legal ppi 201502ZU4671
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ISSN 1856-7134 / e-ISSN 2542-3231
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Revista Arbitrada de la Facultad Experimental de Arte
de la Universidad del Zulia
Maracaibo, Venezuela
Revista Arbitrada de la Facultad Experimental de Arte
de la Universidad del Zulia. Maracaibo, Venezuela
AÑO 18 N° 31. ENERO - DICIEMBRE 2023 ~ pp. 10-18
Isabella Pascucci
Università del Salento
Lecce, Italia
isabella.pascucci@unisalento.it
Recibido: 10-07-22
Aceptado: 16-09-22
La lira da braccio Amati e le geometrie
dell'Harmonia Mundi
La lira Amati y las geometrías de la Harmonia Mundi
A partire di un inedito dipinto a tema musicale, il presente
articolo ripercorre le teorie impervie e controverse circa
la genesi e le evoluzioni formali della lira da braccio,
destinando spazio alla trattatistica del XVI e XVII secolo.
Ampia parte dello studio è dedicata alla complessa
simbologia che, tra Rinascimento e Barocco, fece della lira
da braccio l'attributo mitologico, nonché dinastico, della
Somma Armonia, concetto musicale, losoco e alchemico
che nel reiterarsi del numero sette fonda il proprio principio.
Nel citato dipinto secentesco, il rinvenimento della
ragurazione rigorosa di una lira da braccio con la tastiera
decorata a motivi geometrici ha stimolato una ricerca
storica e documentale con cui accostare la lira dipinta ad
un esemplare perduto della manifattura Amati e ai circoli
dotti della Roma postridentina e della Firenze medicea.
Parole chiave: Amati, armonia, lira da braccio, tastiera,
Medici.
A partir de un cuadro inédito de tema musical, este artículo
rastrea las difíciles y controvertidas teorías sobre la génesis
y la evolución formal de la lira, dedicando espacio a los
tratados de los siglos XVI y XVII. Gran parte del estudio se
dedica al complejo simbolismo que, entre Renacimiento
y Barroco, hizo de la lira el atributo mitológico, también
dinástico, de la Suma Armonía, concepto musical, losóco
y alquímico que funda su principio en la repetición del
número siete. En el mencionado cuadro del siglo XVII,
el descubrimiento de una representación rigurosa de
una lira con teclado decorado de motivos geométricos
estimuló la investigación histórica y documental con la
cual comparar esta lira pintada con un ejemplar perdido
de manufactura Amati, y con los círculos eruditos de la
Roma post-tridentina y de la Florencia de los Médicis.
Palabras clave: Amati, armonía, lira, teclado, Médicis.
Riassunto
Resumen
11
La lira da braccio Amati e le geometrie dell'Harmonia Mundi
Isabella Pascucci
Introduzione
”[… lo] storico dell'arte rigoroso […], invece di
librarsi per aria in uno spazio pieno di fantasia,
tiene ssi gli occhi, come si deve fare, sull'oggetto
artistico in sé, allo scopo di vericare indicazioni
sempre più precise per la classicazione,
non senza sperare che il suo adocchiare
microscopico ancora una volta si trasformi in una
contemplazione macroscopica. (Sca, 2007, p.
192).
In questannotazione a margine del manoscritto
dedicato al “musico di Dublino – saggio rimasto inedito –,
Aby Warburg compendiava premesse e nalità proprie del
modus operandi che sottende anche il presente articolo.
E nel termine contemplazione riassumeva gli ambiti e le
aspirazioni di quell'indagine complessa e trasversale su
contesti storici, culturali e losoci, oltreché squisitamente
artistici e iconograci, a cui può condurre un dettaglio
specico o l'associazione di singoli elementi peculiari.
Del resto, la citazione di questo brano non è casuale,
dal momento che il particolare su cui il celebre storico
dell'arte tedesco teneva “ssi gli occhi” era il minuto decoro
a rosette che orna, nel ritratto del XV secolo attribuito a
Filippino Lippi ed esposto alla National Gallery of Ireland, il
cavigliere di una lira da braccio. Questo particolare, assieme
al rinvenimento del motivo decorativo semiscomparso di
una lira da braccio in un inedito dipinto secentesco
1
, hanno
orientato questo studio.
L'opera, di cui da diversi anni la scrivente è
curatrice e sulla quale sta conducendo uno studio organico,
rappresenta un Orfeo (meno probabilmente un Apollo) che
stringe nella mano destra l'archetto e con la sinistra sostiene
lo strumento musicale, accomodato leggiadramente sulla
spalla. La pulitura a cui il dipinto è stato sottoposto e che
ha rimosso alcune tenaci e fuorvianti vernici pigmentate
di restauro ha consentito una lettura più agevole della
gurazione e l'individuazione di particolari eloquenti, utili
ad un processo di progressiva identicazione del cordofono
suonato da Orfeo (Fig. 1). A spiccare sono il cavigliere a
cuore, con i piroli inssi verticalmente, la linea aggraziata
del corpo, ma soprattutto le due corde di bordone che
corrono esternamente alla tastiera, lungo la quale, invece, se
ne contano altre cinque. Questa caratteristica organologica
fortemente distintiva ha consentito di identicare lo
strumento come un esemplare dell'enigmatica lira da
braccio.
Una storia da scrivere
La trattatistica dedicata ad essa, difatti, è esigua
1 Per motivi di riservatezza, il proprietario del dipinto
in collezione privata, al momento ancora inedito, ha
consentito la pubblicazione solamente del dettaglio con
la rappresentazione dello strumento musicale.
e incompleta oltre che datata, facendo risuonare come
una profezia la considerazione pronunciata da Canguilhem
(2001, p. 42) più di vent'anni fa: “Une histoire détaillée de la
lira da braccio reste donc à écrire”.
Figura 1
Orfeo [particolare della lira da braccio], olio su tela.
Collezione privata.
A complicare la situazione intervengono le
diverse declinazioni date a locuzioni con la parola lira
2
e
l'interscambiabilità, tra XVI e XVII secolo, dei vocaboli lira e
viola per indicare il medesimo strumento
3
, in un'imperante
confusione terminologica. È quanto precisa lo stesso
Vincenzo Galilei (1581, p. 130) nel suo Dialogo della musica
antica et della moderna: “Credo che egli fusse un'Archetto
[sic] simile a quello che adoperano hoggi i sonatori di Viola
da gamba, o da braccio, detta modernamente Lira”; “i quali
strumenti si suonano con l'istesso arco (se bene non così
puntalmente [sic]) dalla Viola da braccio, detta da non molti
anni indietro lira; ad imitatione dell'antica quanto al nome:
il che dà manifesto inditio, che fusse prima in uso la Viola
che il Violone” (p. 147).
A testimoniare la persistenza di una tale
doppiezza è Michael Praetorius nel suo Syntagma Musicum
II De Organographia, uno dei tre volumi di cui si compone
il monumentale compendio organologico barocco
pubblicato in 1619 e dedicato alla nomenclatura degli
strumenti musicali antichi e moderni. Il teorico musicale
tedesco dedica due distinti capitoli (Praetorius, 1884, pp. 57,
2 Tracing our instrument in the treatises of the Italian
Renaissance is no easy task, because it had a variety of
names […]. Although sometimes also callaed ‘lira da
spalla, it was generally called simply ‘lira’ in contemporary
literature, or occasionaly ‘lira moderna’ to distinguish it
from the ancient lyre; Ganassi speaks of the ‘lira di sette
corde’” (Winternitz, 1979, p. 86). Vedasi anche Canguilhem
(2001, pp. 43-47).
3 “For a long time, the lira da braccio was also called ‘viola’
[…]. The fact that earlier sources generally refer to the lira
da braccio by name ‘viola’ is not without importance in
view of the many musicians with the nickname della viola’
(Winternitz, 1979, p. 87). Vedasi anche Jones (1995, p. 3).
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58) rispettivamente alla Violn o Viola de bracio, caratterizzata
da un numero variabile di quattro o cinque corde, e alla
Lyra, dove specica come per Lira si intenda la Tenor Violen
de Bracio o Italianische Lyra de bracio caratterizzata da sette
corde, di cui due esterne alla tastiera.
Storici e musicologi sembrano concordi nel
rintracciare le incerte origini di questo strumento musicale
nella fortuna della viella medievale e rinascimentale, e la
sua diusione tra la seconda metà del XV secolo e i primi
decenni del XVII. È Sterling Scott Jones (1995) a redigere la
monograa allora più strutturata ed esaustiva sulla lira da
braccio, classicando, sulla base degli esemplari esistenti,
delle fonti testuali ma anche – e largamente – sulla scorta
delle rappresentazioni che ricorrono in dipinti e areschi,
le diverse forme e caratteristiche organologiche di questo
intrigante cordofono.
Ha ragione Baldassarre (1999), autore di uno studio
capitale sulla lira da braccio nell'arte, quando sottolinea
la fertile reciprocità che lega organologia e iconograa
musicale
4
, celebrando l'opera del padre fondatore di questa
disciplina: Emanuel Winternitz, dedicatore di un saggio
imponente alla lira da braccio (Winternitz, 1979, pp. 86-98).
Va da sé, che l'iconograa musicale risulta un
imprescindibile fattore di supporto nella ricostruzione
della storia e della sionomia di uno strumento come
la lira da braccio, di cui si conservano pochi esemplari,
dieci all’incirca, e tra questi i pezzi totalmente originali e
pressoché inalterati si contano sulle dita di una sola mano:
l’elegante lira da braccio di Giovanni Maria da Brescia del
1575 ca. all'Ashmolean Museum di Oxford; il seducente
strumento con fattezze antropomorfe, maschili e femminili,
di Giovanni d'Andrea, datato 1511, del Kunsthistorisches
Museum di Vienna; e la lira da braccio di anonimo che
fa parte della collezione del Musée des Instruments de
Musique di Bruxelles.
Suonate usualmente con l'archetto, le lire da
braccio si distinguono per la forma a cuore o a foglia del
cavigliere con piroli frontali, o a riccio con piroli laterali.
Il ponticello è quasi piatto per consentire la frizione
simultanea di più corde, un’agilità che rendeva la lira-viola
da braccio uno strumento particolarmente versatile e adatto
all'accompagnamento del canto
5
. Ricorda Benvenuto Cellini
4 The topical and methodological plurality of music
iconography is, however, the result of the development
of music iconography as a research eld and its specic
dependence on an interdisciplinary, transdisciplinary
and/or multidisciplinary discourse to generate useful
scholarly knowledge. It is noteworthy that music
iconography research and cataloguing projects strongly
depend on a successful discourse with other disciplines.
The interdisciplinary focus in music iconography is not
a mere fashion or some promotional hype utilized by
academic institutions to market their programs, but rather,
a focus essential to an adequate analysis of visual sources
(Baldassarre, 2008, pp. 69-70).
5 Sull'uso della lira da braccio vedasi Cypess (2007, pp. 147-
149).
nella propria autobiograa: “In nella età di cinque anni in
circa, essendo mio padre in una nostra celletta […] Giovanni
con una viola in braccio sonava e cantava soletto intorno a
quel fuoco (Cellini, 1831, p. 9). E Baldassar Castiglione nel
Cortegiano scrive:
Bella musica […] parmi il cantar bene à libro
sicuramente, & co'bella maniera; ma ancor molto
più il cantare alla viola; […] ma sopra tutto parmi
gratissimo il cantare alla viola per recitare; il che
tanto di venustà, & ecacia aggiunge alle parole,
che è gran meraviglia. (Castiglione, 1584, p. 57)
Figura 2
Anonimo cremonese (1570–1590 ca.). Ritratto di musicista. Oxford,
Ashmolean Museum (Wikimedia Commons – Public domain).
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Portrait_of_a_Musician_
by_a_Cremonese_artist_-_Ashmolean_Museum.jpg
Le dimensioni delle lire da braccio sono molto
variabili, da poco meno di 40 a ca. 60 cm di altezza, ma a
caratterizzarle inequivocabilmente è la presenza delle sette
corde, di cui cinque diteggiabili e due di bordone, ossia
esterne alla tastiera dalla parte dei bassi e che rendevano
un suono sso e non modulabile
6
. Diversamente da quanto
Apollineae vis has movet undique Musas che illustra alcune
edizioni delle opere di Gaurio, Apollo è assiso all'apice di
un complesso e simmetrico diagramma in cui i sette pianeti
6 “Because of its positioning, such strings could not be
stopped with the ngers of the player’s left hand and
could therefore not be used to play a melody; instead, they
were employed to create chords with the higher strings or
to resonate them sympathetically” (Cypess, 2016, p. 163).
13
La lira da braccio Amati e le geometrie dell'Harmonia Mundi
Isabella Pascucci
ed il cielo delle stelle sse sono congiunti a otto delle nove
Muse. Il dio del sole soprintende così all'armonia delle sfere
e il cordofono che stringe nella mano sinistra è, non a caso,
una lira rinascimentale a sette corde.
È lo stesso Gaurio, nel capitolo Quod Musae &
sydera & Modi atque Chordae invicem ordine conveniunt,
a chiarire come il numero corretto delle corde da attribuire
alla Cythara Apollinis sia il sette. La lira da braccio, pertanto,
è l'eptacordo moderno dotato di valore signicante e
altamente simbolico in quanto diretta liazione della
cetra apollinea, tant'è che anche Giovanni Lanfranco, tra
i maggiori trattatisti musicali del XVI secolo, nelle sue
Scintille di Musica associa proprio la lira a sette corde al
moto armonico delle sfere celesti: “La Lyra adunque […] di
quattro chorde sole […]; Et accresciuta […] a similitudine
dei sette Pianeti [con l'aggiunta de…] la settima chorda
(Lanfranco, 1533, p. 136). Similmente Gioseo Zarlino (1517-
1590) nelle Institutioni Harmoniche del 1558 conclude che
l'Heptacordo è «con sette chorde alla similitudine de i sette
Pianeti (Zarlino, 1573, p. 21).
Del resto, ancora Vincenzo Galilei accomunava le
sette corde della lira al moto delle stelle erranti: “Era dunque
la Lira à tal termine ridotta [a sette corde], quando venne
Orfeo; e in tal maniera disposta usò sonarla (Galilei, 1581,
p. 115). L'identicazione compiuta da Galilei tra la lira e la
gura di Orfeo si trova già nella Regola Rubertina del 1542,
quando Silvestro Ganassi, trattando dell’accordatura degli
strumenti ad arco, evoca l’autorità di Orfeo e della sua lira.
Simmetrie e modelli delle tastiere
decorate
Proprio il nome di Gaspare Bertolotti detto
da Salò (1542-1609) si lega ad un numero cospicuo di
strumenti a corde provvisti di una caratteristica che, come
vedremo, diventa l rouge in questo approfondimento,
ossia la decorazione a motivi geometrici. Già il veneziano
Francesco Linarol testimonia questo gusto con la lira da
braccio datata 1563 (National Music Museum, University of
South Dakota, Vermillion) e intarsiata, sia sul fronte che sul
retro, con elaborati nodi lettati risultanti dall'assemblaggio
simmetrico di minuscoli rombi. Gli esemplari superstiti
della produzione liutaia di Gasparo da Salò mostrano
una molteplicità di soluzioni ornamentali che coniugano
geometrismi a stilizzazioni di linee tomorfe: ne sono un
esempio i corpi decorati posteriormente della Viola Adam
Collection (1590) (collezione privata), della Viola del
National Music Museum della University of South Dakota
(1600 ca.), e del superbo Violino “Ole Bull” dal 1992 al Bergen
Vestlandske Kustindustrimuseum.
Quest'ultimo, la “Gioconda dei violini” come alcuni
amano denirlo, appartenuto al virtuoso norvegese da cui
prende il nome, mostra lungo la tastiera un sinuoso intarsio
curvilineo, come curvilineo è il motivo a nodi intrecciati
che abbellisce la tastiera in un altro esemplare attribuito
al Bertolotti, la Viola (prima del 1609) dell'Ashmolean
Museum. Proprio in questo tempio dell'arte e della
musica è esposto anche un dipinto misterioso, il Ritratto di
musicista (Fig. 2) di anonimo cremonese datato tra il 1570
e il 1590. Alle spalle della gura, pacicamente appeso alla
parete, sta un cordofono con la tastiera impreziosita da un
disegno geometrico che però fugherebbe la supposizione
di un riferimento palese a Gasparo da Salò. In questo caso,
infatti, le linee sono più spigolose e acute rispetto ai sinuosi
intrecci presenti negli esemplari a lui attribuiti, restituendo
una tipologia di fregio prossima, piuttosto, a quello che
sarebbe diventato marchio di fabbrica di un'altra bottega
celeberrima, di altri liutai leggendari: la Famiglia Amati.
7
Figura 3
Girolamo Amati (1613). Violino piccolo [insieme e particolare della
tastiera decorate]. Vermillion, National Music Museum, University
of South Dakota (Cortesia del National Music Museum, University
of South Dakota).
Anche i diversi esponenti della bottega Amati,
infatti, fecero ampio uso delle tastiere e delle cordiere
decorate con modelli geometrici, elaborando un modello
7 Sulla Famiglia Amati vedasi: Santoro, E.; Mosconi, A.; &
Quiresi, E. (1982). I violini del Palazzo comunale: Andrea
Amati (1566), Niccolò Amati (1658), Antonio Stradivari
(1715), Giuseppe Guarneri del Gesù (1734). Cremona:
Tipograa Padana. / Santoro, E. (1989). Violinari e violini: gli
Amati e i Guarneri a Cremona tra Rinascimento e Barocco.
Cremona: Editrice Sanlorenzo. / Meucci, R. (a cura di).
(2005). Un corpo alla ricerca dell’anima: Andrea Amati e
la nascita del violino 1505–2005. Cremona: Ente Triennale
Internazionale degli Strumenti ad Arco.
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SituArte
costituito da un inanellarsi di rombi e losanghe di dimensioni
dierenti. Lo si osserva nelle due Viole rispettivamente di
Andrea (dopo il 1564) e di Antonio Amati (1592) sempre
all'Ashmolean Museum di Oxford – di cui le cordiere sono
risultate originali –; nel famoso Violino “Carlo IX” di Andrea
Amati (1566 ca.) esposto al Museo del Violino di Cremona;
nel superbo Violino piccolo di Girolamo Amati (1613),
oggi al National Music Museum della University of South
Dakota (Fig. 3), e nel Violino rmato da Nicolò Amati (1669)
al Metropolitan Museum di New York (Fig. 4). Una dinastia
di liutai, una produzione ininterrotta di tastiere e cordiere
decorate.
Figura 4
Nicolò Amati (1669). Violino. New York, Metropolitan
Museum of Art (Metmuseum – Public Domain).
https://www.metmuseum.org/art/collection/search/503057
Con riferimento allo strumento Amati di
Vermillion (South Dakota), Roger Hargrave sottolinea
l’indiscutibile derivazione della tastiera da un modello
per tastiere barocche conservato al Museo del Violino di
Cremona e nota:
It [the “Piccolo Violin] has a tailpiece and
ngerboard fashioned from maple with matching
crisscross inlay. This inlay is made from the same
three-ply puring that the maker inserted around
the back and belly edges. There are also three
violas in the Ashmolean Museum in Oxford that
have tailpieces nished in a similar manner.
(Hargrave, 2013, p. 61)
Riferendosi ai già citati strumenti con tastiera
decorata esposti ad Oxford e attribuiti a Gasparo da Salò,
Andrea ed Antonio Amati, Hargrave aronta la vexata
quaestio dell’originalità dei singoli pezzi:
It seems certain that their inlaid ngerboards
are either early or later replacements. Although
the Gasparo viola is also said to have its original
board, the inlay is made of dierent material from
that in the instrument’s body, indicating that it
is probably an early replacement. It seems likely
that the tailpieces were spared because they
continued to be useful even after their matching
ngerboards had been replaced. In addition,
several contemporary paintings depict similar
inlaid ngerboards, tailpieces or both. (Hargrave,
2013, p. 61)
Anche per quanto attiene il gioiello Amati oggi
a New York, si apprende come lo strumento sia stato
sottoposto nell'Ottocento ad una modernizzazione sanata
da un restauro che nel 1977 lo riportò alla congurazione
barocca. Tuttavia, è sottinteso come l'inevitabile
sostituzione dei componenti principali sia guidata dal
principio logico di conservazione e imitazione delle
tastiere e cordiere originarie. Ancora una volta, la storia
dell'arte testimonia questa circostanza con un traboccare
di rappresentazioni di cordofoni dalle tastiere decorate,
coerenti con il gusto barocco che contraddistingue gli
esemplari citati: dal Suonatore di liuto di Caravaggio (1595-
1596, San Pietroburgo, Hermitage, Fig. 5), in cui il violino
in primo piano – secondo Keith Christiansen (1990) –
richiamerebbe proprio un esemplare Amati, al Lamento di
Aminta (1610-1615) di Bartolomeo Cavarozzi (collezione
privata); dalla Vanità con strumenti musicali (1623) di Pieter
Claesz, oggi al Louvre, al Violinista di Hendrick Terbrugghen
(1626, Dayton Art Institute), no al violino dipinto nella
spinetta rettangolare di Onofrio Guarracino (1692) al Museo
Nazionale degli strumenti musicali di Roma.
Sulle tracce quasi perdute tra gli Amati
e i Medici
Tuttavia, l'attenzione che il presente contributo
rivolge ad un dettaglio squisitamente decorativo e non
organologicamente funzionale della liuteria barocca,
quali sono le tastiere decorate, è stata alimentata da una
circostanza emersa nel corso delle ricerche sull'Orfeo. Se
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La lira da braccio Amati e le geometrie dell'Harmonia Mundi
Isabella Pascucci
riconoscere una lira da braccio nello strumento presente
nel dipinto in esame si è rivelato un esercizio piuttosto
semplice, date le caratteristiche distintive di essa, è stata
la “verica di indicazioni sempre più precise (Sca, 2007,
p. 192) di warburghiana memoria a condurre al cuore di
questa ricerca e n dentro l'anima del misterioso cordofono
del quadro. Perché l'opportuna pulitura della pellicola
pittorica non ha liberato solamente i pigmenti originali
da un'ottundente vernice lucida e riettente. Ha anche
svelato le tracce del ranato motivo geometrico che,
originariamente, campeggiava lungo tutta la tastiera bruna:
tracce che diventano occasione privilegiata per raccontare
una storia, per riscoprire arteci e modelli, per ricostruire
contesti e destinazioni. Proprio come per le rosette nel
dipinto caro a Warburg.
Figura 5
Caravaggio (1595–1596). Suonatore di liuto [particolare del
violino]. San Pietroburgo, Hermitage (Wikimedia Commons –
Public domain).
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Michelangelo_
Caravaggio_020.jpg?uselang=it
Un paziente lavoro di elaborazione graca ha
consentito di evidenziare e riconnettere quelle tracce,
conducendo ad un risultato nale entusiasmante,
certamente di molto prossimo alla sionomia originaria di
questa porzione di strumento. L'incompletezza dei tratti è
stata colmata dalla logica della simmetria, restituendo un
insieme coerente e armonioso, in cui si riconoscono alcuni
elementi decorativi peculiari – come le minuscole losanghe
– notate in Gasparo da Salò e ancor più negli strumenti
Amati.
Ovviamente, non è abbastanza per concludere
deduttivamente che la lira da braccio ragurata nel dipinto
con Orfeo sia la fedele rappresentazione di un prodotto
della liuteria Amati, magari appartenuto al committente
dell'opera. Anche perché il catalogo degli esemplari
superstiti della manifattura cremonese include violini, viole,
violoncelli ma nessuna lira da braccio attribuita agli Amati.
Ma ecco che dagli archivi della Guardaroba medicea giunge
insperata una risposta, un indizio che si carica di signicati
ulteriori. Tra i beni elencati nell’Inventario di diverse sorti
d'instrumenti musicali in proprio del Serenissimo Signor
Principe Ferdinando di Toscana
8
, redatto nel 1700, una delle
dettagliatissime voci recita:
Una lira piccola à sette corde da sonare à braccio
con fondo di abeto, con manico, cordiera,
ponticello, fascie, e corpo di acero, con bischeri
compagni, con letti lavorati à mostacciolo, neri,
e bianchi sù la tastiera, e cordiera, con letti simili
sù le testate torno torno, tanto di sopra, che di
sotto, con un polizzino scritto col cinabro sul
foglio attaccato nel corpo per di dentro, che dice
Andrea Amati in Cremona 1573, con suo arco di
granatiglia, con un cuore traforato nel nasello,
con sua contro cassa d'albero antica con due
gangheri. (Montanari, 1998, p. 15)
9
Colpisce, nella descrizione dello strumento, il
riferimento alla decorazione a mostaccioli neri e bianchi
sulla tastiera, che prende in prestito un termine caro alla
tradizione pasticcera italiana e che allude all'inconfondibile
forma romboidale che in questo contesto funge da
sinonimo di losanga.
10
Quanto questo eloquente riscontro documentale
ci consente di concludere è che la bottega Amati e in
particolare Andrea (1505 ca.-1577), uno dei più prolici
esponenti della famiglia, abbiano realizzato anche lire da
braccio a sette corde e che, anche in questa tipologia di
strumenti, abbiano reiterato l'inserimento delle tastiere
geometrizzanti.
Se alla luce di queste indicazioni e allo stadio
attuale delle ricerche in corso sull'opera – si ribadisce –
dedurre che la lira da braccio rappresentata nel dipinto in
esame sia una copia fedele di una lira Amati non è impresa
attuabile né appropriata, un’alternativa più verosimile
è ventilare che l'autore del quadro possa essere stato
inuenzato da un suggerimento del committente o da un
modello di lira da braccio barocca osservata nell'ambiente
colto romano-mediceo. Infatti, le risultanze dello studio
sull'Orfeo collocherebbero la genesi del dipinto proprio
in quel vivace contesto culturale e collezionistico romano
animato, a cavallo tra XVI e XVII, da personalità che
intrattenevano reciproci scambi politici e intellettuali anche
con la corte granducale, in una prossimità tutt'altro che
episodica con esponenti di spicco della famiglia Medici.
Non ultimo quel granduca Ferdinando I (1549-1609)
Rinascimento tradotta iconogracamente in lira da braccio.
Il mitico cantore Orfeo, difatti, è uno degli alter
ego di Casa Medici: è la scultura monumentale realizzata
da Baccio Bandinelli (1519) per il cortile di Palazzo Medici
8 Ferdinando Maria de’ Medici (1663-1713) fu il glio
primogenito del granduca di Toscana Cosimo III e di
Margherita Luisa d’Orléans. Fu granprincipe di Toscana
partire dall’ascesa del padre nel 1670.
9 Vedasi anche Gai (1969, pp. 6-22).
10 Vaccari, M. G. (a cura di). (1997). La Guardaroba medicea
dell’Archivio di Stato di Firenze. Firenze: Edizioni Regione
Toscana.
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SituArte
in via Larga a Firenze; è la sembianza sotto cui scelse si farsi
ritrarre Cosimo I da Agnolo Bronzino nel dipinto conservato
al Philadelphia Museum of Art (1537-1539 ca.), con il
protagonista intento ad accordare la propria lira da braccio
(Simon, 1985).
Se i Medici adottarono l'immagine del cantore
trace con intenti marcatamente politici, sfruttandone la
funzione metaforica di latore di armonia e, per estensione,
di pace civile, fu proprio in seno al Neoplatonismo
orentino, già nella seconda metà del Quattrocento, che la
gura di Orfeo ricevette un’investitura ideale che ne favorì
il successo gurativo. È nel fertile crogiolo dell'Accademia
neoplatonica che l'Orfeo aedo, solitario incantatore di ere
e suscitatore della benevolenza di Plutone, viene elevato
al ruolo di profeta, fondatore dell'antica magia e della
suprema sapienza, e investito della summa auctoritas di
rappresentante della prisca theologia quale tramite pagano
tra questa e la religione cristiana. Nelle dense dissertazioni
e nelle opere generate dal vivace ambiente della Villa di
Careggi, Orfeo incarna il poeta teologo, conciliatore, alla
stregua di altri arcaici sapienti come Mosè e Zoroastro, della
losoa di Platone e della religione di Cristo, con il privilegio
di essere il primo prisco theologo greco.
Figura 6
Orfeo [particolare e ricostruzione della decorazione lungo
la tastiera della lira da braccio], olio su tela.
Collezione privata.
Questa legittimazione magico-teologica è
evidente nell'opera di Marsilio Ficino (1563), traboccante di
riferimenti al musico greco e che ha il merito di consolidarne
la vastissima inuenza sapienziale. Del resto, è Ficino a
ridare voce ad Orfeo traducendo per volere di Cosimo il
Vecchio quegli Inni o Orphica, probabilmente composti tra
il II ed il III secolo d. C. ma di cui l'Umanesimo attribuisce al
poeta la paternità. Ebbene, l'empatia che Ficino manifesta
nei confronti di Orfeo e della sua opera travalica quella
meramente intellettuale in un processo di progressiva
identicazione che conduce il caposcuola del circolo
neoplatonico ad atteggiarsi come il musico per eccellenza,
suonando la lira a sette corde e lasciandosi andare, anche
nelle lettere familiari, ad appassionate evocazioni del poeta
mitologico. Secondo diverse testimonianze, la lira di Ficino
mostrava addirittura un'incisione ragurante Orfeo che
gli meritò i versi dedicatori di Naldo Naldi dal titolo Ad
Marsilium Ficinum de Orpheo in ejus cytharae picto e un passo
dell'Altercazione in cui Lorenzo il Magnico tratteggiava
una suggestiva sovrapposizione tra il cantore e l'umanista:
“[…] Pensai che Orfeo al mondo ritornasse / o quel che
chiuse Tebe col suon degno, / sí dolce lira mi parea sonasse.
/ –Forse caduta è dal superno regno / la lira ch'era tra le
stelle sse– […]” (Lorenzo de' Medici,1825, p. 165). Ficino
stesso, poi, ammetteva nel settembre 1468: “E sappiate
Forese mio che […] subbito [sic] mi rizzai e presi la lira, e
così cantai un lungo mio canto, cominciandomi dai versi
d'Orfeo” (Ficino, 1563, p. 24); non a caso questo omaggio
si trova nella lettera intitolata Che colui con armonia non è
composto, che de l'armonia non si diletta in cui l'umanista
tratta dell'armonia melodica delle sfere e degli inussi della
musica sulla consonanza umana. Perché, difatti, Orfeo è
soprattutto espressione di quell'armonia universale che dai
cerchi celesti discende, attraverso la lira a sette corde e per
suo tramite, agli uomini.
Com'è noto, quello dell'armonia delle sfere celesti
è un principio che aonda le proprie radici nella losoa
classica, trovando nella scuola pitagorica la sua prima e
più compiuta codicazione. Fin dall'antichità l'armonica
rotazione dei pianeti veniva assimilata alla musica e agli
accordi che la regolano, secondo un'interpretazione che
valutava l'universo come un enorme sistema di proporzioni
numeriche. La trattatistica medievale consolidò la fortuna
del modello dell'Harmonia Mundi con opere come il De
Institutione Musica di Severino Boezio e soprattutto il De
Nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella.
La musica-armonia mutuata dal sapere
medievale, settima e più alta delle Arti liberali, è, dunque,
vertice di tutte le discipline e quintessenza dell'esperienza
del divino, fruibile solo attraverso il sommo sapere; è regola
dell'ordine cosmico e legge del numero che sovrintende
all'eufonia delle sfere, quella melodia perfetta che riette
l'ordine perfetto della creazione. Questa nozione losoca
sopravvive e si raorza anche in seno all'Umanesimo e
riscuote larga fortuna per tutto il Cinquecento, come
dimostrano gli scritti di Leone Ebreo e Sabba da Castiglione
e, il secolo successivo, come si legge nel Discorso sopra la
musica di Vincenzo Giustiniani (1628).
Sul fronte più squisitamente e tecnicamente
musicale, questo poetico assunto fu ampiamente recepito
anche dagli iniziatori di quella teoria musicale sviluppatasi
tra XV e XVI secolo e dominata dalla gura di Franchino
Gaurio (1451-1522), teorico, compositore e cantore egli
stesso, considerato a ragione il fondatore della musica
speculativa umanistica. Nell'incisione intitolata Mentis
Apollineae vis has movet undique Musas che illustra alcune
edizioni delle opere di Gaurio, Apollo è assiso all'apice di
un complesso e simmetrico diagramma in cui i sette pianeti
ed il cielo delle stelle sse sono congiunti a otto delle nove
Muse. Il dio del sole soprintende così all'armonia delle sfere
17
La lira da braccio Amati e le geometrie dell'Harmonia Mundi
Isabella Pascucci
e il cordofono che stringe nella mano sinistra è, non a caso,
una lira rinascimentale a sette corde.
È lo stesso Gaurio, nel capitolo Quod Musae &
sydera & Modi atque Chordae invicem ordine conveniunt,
a chiarire come il numero corretto delle corde da attribuire
alla Cythara Apollinis sia il sette. La lira da braccio, pertanto,
è l'eptacordo moderno dotato di valore signicante e
altamente simbolico in quanto diretta liazione della
cetra apollinea, tant'è che anche Giovanni Lanfranco, tra
i maggiori trattatisti musicali del XVI secolo, nelle sue
Scintille di Musica associa proprio la lira a sette corde al
moto armonico delle sfere celesti: “La Lyra adunque […] di
quattro chorde sole […]; Et accresciuta […] a similitudine
dei sette Pianeti [con l'aggiunta de…] la settima chorda
(Lanfranco, 1533, p. 136). Similmente Gioseo Zarlino (1517-
1590) nelle Institutioni Harmoniche del 1558 conclude che
l'Heptacordo è «con sette chorde alla similitudine de i sette
Pianeti (Zarlino, 1573, p. 21).
Del resto, ancora Vincenzo Galilei accomunava le
sette corde della lira al moto delle stelle erranti: “Era dunque
la Lira à tal termine ridotta [a sette corde], quando venne
Orfeo; e in tal maniera disposta usò sonarla (Galilei, 1581,
p. 115). L'identicazione compiuta da Galilei tra la lira e la
gura di Orfeo si trova già nella Regola Rubertina del 1542,
quando Silvestro Ganassi, trattando dell'accordatura degli
strumenti ad arco, evoca l'autorità di Orfeo e della sua lira.
Conclusione
Attraverso il suo attributo simbolico, il mitico
musico dell'antichità è gura insieme complementare
ed alternativa all'Apollo citaredo e musagete che la
tradizione classica concepiva come disciplinatore delle
sfere celesti e guida delle Muse. L'Orfeo incantatore di selve
e di animali con la soavità del proprio canto si sovrapporrà
prepotentemente, nel corso del Rinascimento e per tutto il
Ringrazio la professoressa Daniela Castaldo dell'Università
del Salento per alcune interessanti indicazioni bibliograche;
Arian Sheets, curatore della sezione degli strumenti a corda
del National Music Museum de The University of South
Dakota per l'autorizzazione a pubblicare le immagini del
Violino piccolo di Girolamo Amati.
Cinquecento e il Seicento, alla gura di Febo no
a diventare la personicazione musicale predominante,
munita sempre della lira da braccio a sette corde.
È interessante quanto Albi Rosenthal (1998)
fa notare a proposito dell'egie di una lira da braccio
che il poeta Giovanni Aurelio Augurello (1456-1524)
scelse quale frontespizio dei suoi Carmina editi nel 1491.
Quanto Rosenthal, però, omette di evidenziare è la portata
espressiva che questa scelta conduce con sé, dal momento
che Augurello non fu solo un dotto umanista ma anche uno
studioso di alchimia: le sue conoscenze conuirono nella
Chrysopoeia, pubblicata a Venezia nel 1515.
La lira da braccio, infatti, insieme a quell'universo
di simboli e metafore individuabili nella ricorrenza del
numero sette e nella stretta relazione con la losoa orca
è essa stessa metafora alchemica. Così, lo scienziato e
alchimista Giovanni Battista della Porta (1535-1615) nella
sua Magia Naturalis (1589) indugia sovente in riessioni
losoche dedicate alla lira da braccio, in un sottile
parallelismo tra scienza e magia (Cypess, 2016). È in questo
ambiente denso di suggestioni culturali e musicali che, con
ampie probabilità, videro la luce l'Orfeo dipinto e la sua lira
a sette corde irta di segreti e di verità ancora da svelare.
Ringraziamenti
Ringrazio la professoressa Daniela Castaldo
dell'Università del Salento per alcune interessanti
indicazioni bibliograche; Arian Sheets, curatore della
sezione degli strumenti a corda del National Music Museum
de The University of South Dakota per l'autorizzazione a
pubblicare le immagini del Violino piccolo di Girolamo
Amati.
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